Le Parole del Festival

Le parole valgono. Usiamole bene, saremo cittadini migliori

Le parole hanno un valore. Sono un ponte tra le generazioni, segni di riconoscimento, custodi di valori universali.

Le parole sono bussole che ci indicano la strada, le sfumature di quella immensa tavolozza di colori che è la vita.

Le parole danno corpo ai nostri sentimenti, testimoniando le nostre speranze, rafforzando i nostri amori, svelano i nostri timori.

Con le parole si crea. Inventiamo una parola per definire una cosa sconosciuta e quella si materializza e prende vita.

In questa stagione in cui a dominare la comunicazione è la velocità, non dimentichiamo la nostra storia, fatta di un lessico ricco di sfumature in cui ogni parola ha un peso, uno spessore, talvolta anche un sapore ed un odore.

Non sprechiamole, non consideriamole tutte uguali. Le parole valgono. Usiamole bene, saremo cittadini migliori.

in collaborazione con TRECCANI

Le Parole del Festival

vecchi, giovani, cittadini, generazioni, frontiere, culture, futuro, lavoro, sociale, immigrazione, età...
Amore
Sentimento che attrae e unisce due persone (ordinariamente ma non necessariamente di sesso diverso), e che può assumere forme di pura spiritualità, forme in cui il trasporto affettivo coesiste, in misura diversa, con l’attrazione sessuale.
Apparenza [non apparenze]
Ciò che appare, che si mostra alla vista; quindi aspetto, e anche contegno, comportamento esteriore.
Baby Boomer [non baby boomers]
Persona nata nel corso dell’improvvisa fase di crescita demografica verificatasi nei paesi occidentali nel secondo dopoguerra, durata fino ai primi anni ’60 del Novecento e conosciuta come baby boom.
Campione
1. Nel medioevo, chi combatteva nei giudizi di Dio o prendeva parte a un duello al posto di altri (per es., di donne, di nobili, o di istituzioni come la Chiesa, ecc.); nei tornei, chi teneva il campo.
2. Chi difende con energia una nobile causa: c. della fede, c. di Cristo; farsi c. della verità, della libertà, della giustizia.
3. (f. -éssa) Nello sport, il vincitore di una gara o di un complesso di gare: c. di pugilato, c. dei veterani, c. europeo dei 400 metri; campionessa di nuoto, di salto in alto. Negli sport a squadre, ciascuno dei membri della squadra vincitrice (che si chiama squadra campione). Anche, più genericamen., atleta eccellente e di grande fama (in questo senso, è frequente il superl. campionissimo).
4. In sociologia, c. rappresentativo, frazione rappresentativa di una popolazione, sufficiente e adatta a fornire tutte le indicazioni richieste.
Cittadinanza
1. s. f. [der. di cittadino agg. e sost.].
a. Vincolo di appartenenza di un individuo a uno stato: c. italiana, francese, ecc.; ottenere, avere, perdere la c.; certificato di cittadinanza. C. europea, condizione giuridica dei cittadini degli stati dell'Unione Europea, che prevede, fra l'altro, il diritto di soggiorno in tutti gli stati membri, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali ed europee nello stato dove si è scelta la residenza, alle stesse condizioni dei cittadini di questo. In senso fig., le frasi acquistare la c., dare la c. si usano anche con riferimento a parole o locuzioni straniere che siano entrate largamente nell'uso e si possano perciò considerare parte del patrimonio linguistico nazionale, o a idee, costumi, ecc. di provenienza straniera ormai largamente diffusi e acquisiti.
b. Nell'uso com., appartenenza di un individuo a una città: c. milanese, fiorentina, ecc.; c. onoraria, diritto di considerarsi cittadino di una città diversa da quella in cui si è nati: viene concessa in casi speciali a personaggi illustri o particolarmente benemeriti della città concedente.
2. L'insieme degli abitanti di una città: appello alla c.; tutta la c. è invitata a intervenire.
Cittadino
1. cittadino2 s. m. (f. -a) [uso sostantivato dell'agg.].
a. Chiunque abita in città o risiede in una determinata città: i c. di Venezia, di Palermo; c. operosi, pacifici, tranquilli; spesso contrapposto agli abitanti della campagna, del contado: assumere un aspetto di c.; rivalità fra cittadini e valligiani.
b. Concittadino: era rispettato da tutti i c.; Voi cittadini mi chiamaste Ciacco (Dante).
c. Anticam., con senso più ampio, abitante in genere: d'ogni altro ricchissimo c. che allora si sapesse in Italia (Boccaccio); Poi ch'Amor femmi un cittadin de' boschi (Petrarca); si compiea l'anno che questa donna era fatta de li c. di vita eterna (Dante).
2a. Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti: essere c. italiano, inglese, ecc.; una c. spagnola; nell'imminenza del conflitto i c. stranieri furono invitati a rientrare in patria; essere un buon c.; Son cittadino per te d'Italia (Carducci). Analogam., con riferimento a una città-stato, a un comune medievale e sim.: i c. di Atene, di Sparta; questo Dante fu uno orrevole antico c. di Firenze di porta San Piero (G. Villani). Per c. europeo, v. cittadinanza (n. 1 a). Il primo c. d'Italia, modo con cui viene talora indicato il presidente della Repubblica, e così primo c. di una città, il sindaco. Per contrapposizione polemica: essere c. del mondo, di chi rifiuta, come troppo angusta, l'appartenenza a una determinata nazione, sentendosi membro di una comunità molto più ampia; dichiararsi c. del cielo, riconoscere nel cielo la propria vera patria.
2b. Nel linguaggio com., chi appartiene a una città, per residenza oppure per concessione onorifica (c. onorario).
Comunicazione
1. comunicazióne s. f. [dal lat. communicatio -onis].
2. In senso più generale (determinato dallo sviluppo degli studî nell'ambito della psicologia umana e animale e nell'ambito della teoria dell'informazione), ogni processo consistente nello scambio di messaggi, attraverso un canale e secondo un codice, tra un sistema (animale, uomo, macchina, ecc.) e un altro della stessa natura o di natura diversa. In partic.:
a. Nelle scienze umane e sociali (talora dette anche scienze della c.) e del comportamento, processo di trasferimento dell'informazione contenuta in un segnale, attraverso un mezzo (canale), da un sistema (promotore) a un altro (recettore): in questo senso il segnale è dotato di significato e tale da poter provocare una reazione nel recettore; c. non verbale (o analogica), in contrapp. alla c. verbale (o digitale), l'insieme dei segnali extralinguistici (mimici, cinesici, tattili, ecc.) latori di informazione o di significato nelle relazioni umane o animali; in partic., c. animale (o biocomunicazione), la trasmissione intraspecifica o interspecifica di informazioni relative alla ricerca del cibo, al corteggiamento, alla difesa, ecc., realizzata mediante segnali di varia natura (posturale, tattile, olfattiva, chimica, elettrica, termica, ecc.). Teoria della c., considerazione globale dei rapporti tra individui (persone, animali, gruppi etnici e sociali, ecc.) che intende descrivere qualsiasi dinamica cognitiva o comportamentale in un contesto di due o più individui (o sistemi) che si scambiano, anche inconsapevolmente, segnali o segni (informazioni significanti) di natura culturale, sociale, emozionale, operativa, ecc.
b. Nella teoria delle telecomunicazioni, processo per cui i messaggi generati da una sorgente vengono riprodotti in forma più o meno fedele presso il destinatario, collegato alla sorgente da un mezzo trasmissivo o canale, il quale interagisce con i segnali che vi si propagano introducendovi delle modifiche (attenuazione, distorsione, interferenza, rumore) che possono addirittura compromettere l'individuazione del messaggio.
3. Il mettersi o trovarsi in contatto, in collegamento con altre persone o con altri luoghi, e il mezzo stesso con cui il collegamento si effettua:
a. Riferito alla trasmissione e ricezione di notizie, di messaggi: essere, mettersi in c. con qualcuno; c. postali; c. telefoniche (al sing., anche semplicem. comunicazione, in frasi come chiedere la c., è stata interrotta la c., e sim.); c. telegrafiche, c. radio o radiofoniche, c. radiotelefoniche, c. televisive, tecniche che, nel loro complesso, costituiscono le c. elettriche, in quanto si basano sull'impiego di segnali elettrici discreti o continui variamente modulati per la trasmissione dell'informazione a distanza. Comunicazioni di massa, locuz. che traduce approssimativamente l'espressione ingl. mass media (più precisamente, mezzi di c. di massa) e che designa l'insieme dei mezzi (stampa, cinema, radio, televisione, registrazione dei suoni, ecc.), spesso integrati in sistema, impiegati per diffondere e divulgare, velocemente e con efficacia, messaggi semplici e significativi, persuasivi e talvolta iterati, atti a stimolare opinioni, gusti e soprattutto emozioni in un pubblico indifferenziato e diffuso, nonché particolari notizie ad alto contenuto spettacolare ed emotivo (avvenimenti sportivi, fatti di cronaca, eventi politici, ecc.) che suscitano interesse ed attiva partecipazione in un pubblico molto vasto; designa inoltre le istituzioni (giornali, telecomunicazioni, centrali pubblicitarie, ecc.) e le tecniche con le quali gruppi specializzati diffondono informazioni, messaggi e simboli in maniera tale che la vera e propria cultura che ne risulta (cultura delle c. di massa, èra delle c. di massa) sembra fondarsi più sui modi di trasmissione utilizzati e sulla loro spettacolarità (tecnologia e forma espressiva impiegata) che sui contenuti dei messaggi.
Creatività
1. s. f. [der. di creativo].
a. Virtù creativa, capacità di creare con l'intelletto, con la fantasia. In psicologia, il termine è stato assunto a indicare un processo di dinamica intellettuale che ha come fattori caratterizzanti: particolare sensibilità ai problemi, capacità di produrre idee, originalità nell'ideare, capacità di sintesi e di analisi, capacità di definire e strutturare in modo nuovo le proprie esperienze e conoscenze.
Crisi
Crisi (ant. criṡe) s. f. [dal lat. crisis, gr. κρίσις «scelta, decisione, fase decisiva di una malattia», der. di κρίνω «distinguere, giudicare»].
1. Nel linguaggio medico:
a. Repentina modificazione, in senso favorevole, o anche sfavorevole, di stati morbosi; in partic., rapida caduta della temperatura in malattie febbrili acute.
2. Stato di forte perturbazione nella vita di un individuo o di un gruppo di individui, con effetti più o meno gravi: essere in c., attraversare un momento particolarmente difficile; mettere in c., in situazione di grave difficoltà; analogam., andare in c., entrare in c., superare una crisi. In partic.:
a. Con riferimento alla vita interiore, c. di coscienza o c. morale, turbamento psichico che insorge a causa dell'incapacità dell'individuo a risolvere certi problemi della sua vita, o per conflitti affettivi, o per l'azione dell'ambiente nel quale egli vive e opera: avere una c. di scoraggiamento, di sfiducia; le c. dell'adolescenza; La mia disperazione è giunta al suo apice. E l'unica speranza è in una c. risolvitrice, sia pure dissolutrice (Penna); per c. d'identità, espressione riferita anche a gruppi etnici (e diversa da c. dell'identità in psichiatria), v. identità. Nel linguaggio corrente, attraversare una c. spirituale, religiosa, avere una c. di coscienza, essere agitato da problemi di natura spirituale o religiosa, oppure da passioni, da sentimenti contrastanti, la cui soluzione è spesso condizionata da una deliberazione impegnativa.
3.
a. Con riferimento a fenomeni economici, sociali e politici, soprattutto per suggestione di teorie positivistiche, è invalso l'uso del termine per indicare uno squilibrio traumatico e poi, più in generale, uno stato più o meno permanente di disorganicità, di mancanza di uniformità e corrispondenza tra valori e modi di vita: la c. della società, la c. del sistema o di un sistema, la c. dei valori, la c. della civiltà, ecc. In senso più concr., ogni situazione, più o meno transitoria, di malessere e di disagio, che in determinati istituti, aspetti o manifestazioni della vita sociale, sia sintomo o conseguenza del maturarsi di profondi mutamenti organici o strutturali: la c. delle istituzioni; la c. della famiglia, la c. della coppia, ecc.
b. Nel linguaggio economico, spec. nell'economia classica, il termine designa propriamente la fase del ciclo economico che è conseguenza del verificarsi di una situazione di sovrapproduzione generalizzata, le cui caratteristiche fondamentali sono il passaggio rapido dalla prosperità alla depressione, il calo della produzione, una diffusa disoccupazione, prezzi tendenzialmente decrescenti, bassi salari e una contrazione dei profitti: prevedere, affrontare, superare una c. (economica). Correntemente, il sign. del termine è esteso a comprendere anche altri fenomeni, sempre con riferimento a situazioni di difficoltà grave del sistema economico, o di un suo particolare settore o area: c. dell'agricoltura; c. del Mezzogiorno; c. della finanza pubblica; c. monetaria internazionale; c. inflazionistica, quella che si verifica in un paese in presenza di un rapido e incontrollato aumento dei prezzi; c. congiunturale (in contrapp. a c. strutturale, cioè alla crisi nel senso classico, che caratterizzerebbe ciclicamente i sistemi economici), situazione di stallo dell'economia, internazionale o di un solo paese, dovuta a fattori di breve periodo, cioè a cause contingenti; c. energetica (v. energetico); c. degli alloggi, dovuta a mancanza di disponibilità rispetto alla richiesta; c. di mano d'opera, che si verifica in paesi o in settori in cui non c'è mano d'opera sufficiente; c. demografica o c. della natalità, preoccupante diminuzione delle nascite in rapporto ai decessi.
c. In senso politico, impossibilità di funzionamento di un organo dello stato, di un ente pubblico o altro, determinata da dimissioni, morte, contrasti interni, o da altre cause. In partic., c. ministeriale (o di governo, o di gabinetto), la caduta di un ministero, causata da un voto parlamentare di sfiducia (c. parlamentare), oppure da disaccordo fra il capo dello stato e i ministri o fra i ministri stessi, da mutamento, per decesso o per nuova elezione, del capo dello stato, dalla morte del presidente del Consiglio dei ministri (c. extraparlamentare); anche, la situazione del governo dal momento della sua caduta (apertura della c.) al momento della nomina di un nuovo ministero da parte del capo dello stato (chiusura della c.). C. dinastica, quella che si verifica quando, alla morte di un sovrano che non ha eredi di diritto, la successione al trono dà luogo a controversie che dal piano giuridico possono trasferirsi su quello politico e militare. Nel linguaggio giornalistico si parla inoltre di c. al buio, per indicare una crisi di governo che si apre senza che ci sia la prospettiva di una nuova maggioranza; c. politica, per indicare genericam. un periodo di instabilità nelle istituzioni politiche di un paese; di c. istituzionale, per indicare una situazione di crisi che sconvolge o minaccia la costituzione stessa di uno stato; di c. di fatto, per indicare una situazione in cui il governo è praticamente senza maggioranza (o in cui uno dei partiti della coalizione si sia dissociato dalla maggioranza) senza che si sia proceduto ad aprire una crisi formale; di c. guidata, con riferimento a una crisi ministeriale organizzata e dominata dalle forze della maggioranza governativa, per cui la soluzione della crisi stessa è in certo modo predeterminata; ecc. In senso più ampio, c. internazionale, situazione di grave tensione nelle relazioni internazionali, la cui soluzione appare problematica al punto da far temere la probabilità di interventi bellici.
Cultura
L’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo.
Cura
1.
a. Interessamento solerte e premuroso per un oggetto, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività: dedicare ogni c. alla famiglia, all'educazione dei figli, ai proprî interessi; avere c., prendersi c. di qualcuno o di qualche cosa, occuparsene attivamente, provvedere alle sue necessità, alla sua conservazione: avere c. della propria persona, dei proprî oggetti; avere c. del bestiame, dei fiori, dell'orto; non darsi c. di nulla, disinteressarsi di tutto, essere indolente. In partic.: in zoologia, c. parentali, v. parentale; in agraria, c. colturali, quelle dedicate alle piante coltivate, dopo la loro nascita e nel corso della loro vegetazione (zappature, rincalzature, diradamenti, concimazioni in copertura, scerbature, cimatura, ecc.); in tabacchicoltura, trattamento a cui vengono sottoposte le foglie dopo la raccolta: c. al sole; c. ad aria; c. a fuoco diretto.
b. Riguardo, attenzione: conservare, custodire con c.; aversi c., avere riguardi per sé stesso, e soprattutto per la propria salute. Al plur., premure, vigile assistenza: c. pazienti, assidue, affettuose, materne, filiali; raddoppiare le c.; affidare i figli alle c. di un buon maestro.
c. Impegno, zelo, diligenza: porre c. in qualche cosa; lavoro fatto con molta c.; indagare con la massima cura.
d. L'attività in cui si è direttamente impegnati: la c. della casa; le c. dello stato; le gravi c. del suo ufficio; locuz. a cura di (meno com. per cura di), per opera di: nuova edizione a c. di ...; la somma è stata raccolta a c. del Comitato.
e. Oggetto costante (costituito da persone o cose) dei proprî pensieri, delle proprie attenzioni, del proprio attaccamento: l'unica sua c. è la famiglia; non ha altra c. che lo sport, il gioco, lo studio, ecc.
2.
a. Il complesso dei mezzi terapeutici e delle prescrizioni mediche che hanno il fine di guarire una malattia (sinon. di terapia, ma con significato e uso più ampî): la c. dei tumori, delle affezioni polmonari, delle nefropatie; c. dimagrante; provare un nuovo metodo di c.; prescrivere, adottare una c.; fare una c.; sottoporre (un malato), e sottoporsi a una c.; seguire scrupolosamente la c.; tutte le c. sono state vane; una c. efficace, miracolosa; c. preventiva, lo stesso che profilassi; casa di cura, clinica privata, sanatorio; località di cura, località dove si sfruttano mezzi terapeutici naturali; imposta di cura (o di soggiorno), tributo comunale imposto a tutti coloro che temporaneamente dimorano in stazioni di soggiorno, di cura o turistiche e altre località climatiche, balneari, termali, ecc.
Emigrazione
Il fenomeno per cui gruppi di esseri viventi, uomini inclusi, si spostano verso territorî diversi da quelli in cui risiedono, per lo più a causa di un aumento eccessivo della densità delle popolazioni e, in particolare, a scopo di lavoro, determinato da un dislivello tra le condizioni economiche esistenti nei varî territori.
Epoca
Epoca s. f. [dal gr. ἐποχή, propr. «sospensione, fermata», der. di ἐπέχω «trattenere»].
1. Propr., punto fisso nella storia, segnato da qualche avvenimento memorabile, da cui si comincia a contare una nuova serie di anni; o spazio di tempo compreso fra due di tali punti o momenti della storia. Più com., periodo storico collegato a grandi avvenimenti: l'e. delle Crociate, delle grandi scoperte geografiche; la caduta dell'Impero romano segnò l'inizio di una nuova epoca. Con senso più generico: viviamo in un'e. di grandi trasformazioni; l'e. precedente alla nostra generazione; e nella locuz. agg. dell'epoca (o d'epoca), coevo, contemporaneo, appartenente proprio a quel tempo: una commedia cinquecentesca in costumi (o con arredamento) dell'e.; esecuzione di musica vivaldiana con strumenti originali dell'epoca (con altro sign., un palazzetto d'epoca, arredamento d'epoca, antico, tipico di tempi passati). Meno propriam., tempo in generale, momento e sim.: all'e. del mio matrimonio; nell'e. in cui ero studente; in quell'e., da quell'epoca. Appartiene al linguaggio com. la locuz. fare epoca (calco del fr. faire époque), di avvenimento o fatto notevole, destinato a lasciare traccia di sé: fu una scoperta che fece e.; è una moda che farà epoca.
Età
1. età (ant. e poet. etade, etate) s. f. [lat. aetas -atis, dall'arcaico aevĭtas, der. di aevum «evo»].
a. Ciascuno dei periodi in cui si suole dividere la vita umana: le quattro e. dell'uomo (fanciullezza, giovinezza, maturità, vecchiaia); la prima e.; l'e. infantile; l'e. adulta, virile, senile, tarda, cadente, decrepita; la terza e., l'età senile in senso ampio (talora anche la quarta età, per indicare persone sopra i settantacinque anni); poet., l'e. nuova o novella, la verde e., l'adolescenza; e. fiorita, la giovinezza: Ma poi che insieme coll'età fiorita Mancò la speme e la baldanza audace (T. Tasso); o l'adolescenza: Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita È come un giorno d'allegrezza pieno (Leopardi).
b. Con varie determinazioni, indica approssimativamente gli anni di vita di una persona: è ancora in tenera e.; una ragazza in e. da marito; essere nel fiore dell'e., nella più bella e., nella giovinezza; persona di mezza e., tra giovane e vecchio; avere un'e. avanzata, essere avanti con l'e., essere attempato (e analogam., un uomo, una donna di e. matura); avere una certa e., essere piuttosto anziano; avere una bella e., un'e. rispettabile, essere molto in là con gli anni, spec. di persona ancora sana di mente e di corpo. Usato senza attributo, può indicare, secondo il caso, l'età giovanile o senile: per la sua e. fa anche troppo; che vuoi farci, è l'e.!; oramai ha la sua e.; portare rispetto all'e. e ai capelli bianchi; un uomo d'e., attempato: Quivi era un uom d'età, ch'avea più retta Opinïon degli altri (Ariosto); con quest'ultimo sign., è com., anche nell'uso pop., la locuz. in età, riferita a uomo o donna ormai anziani: un signore, una signora in età. Con partic. riferimento allo sviluppo biologico o psichico d'una persona, alle sue attitudini e simili: l'e. della ragione, del giudizio, del discernimento, della discrezione; e. evolutiva, quella che va dalla nascita ai 25-30 anni, e. involutiva, dopo i 60 anni; l'e. della pubertà; l'e. critica, nelle donne, quella della menopausa, negli adolescenti la pubertà; e. mentale, il grado di efficienza intellettuale di un individuo, riferito a una valutazione psicometrica; l'e. militare, gli anni in cui l'uomo è atto a portare le armi; e. sinodale o canonica (v. sinodale). In senso generale, si parla talora di e. biologica per indicare quella che approssimativamente può essere attribuita a una persona – indipendentemente dalla sua età anagrafica – sulla base di una globale valutazione dell'efficienza fisica e mentale (caratteri somatici e psichici, prestazioni funzionali, comportamento, ecc.); più specificamente, in pediatria ed endocrinologia, si definisce e. ossea o scheletrica il grado di maturazione ossea, valutabile mediante esame radiologico di determinate ossa (soprattutto quelle della mano e le epifisi distali del radio e dell'ulna), per appurare l'eventuale comparsa o lo stadio evolutivo dei «nuclei di ossificazione», fenomeni che, in condizione normale, sono strettamente correlati con l'età anagrafica.
c. Altre volte si riferisce agli anni esatti: all'e. di vent'anni; è morto alla bella e. di 90 anni; che e. hai?; ditemi l'e.; hanno la medesima e.; arrivare a un'e., avere, passare, superare un'e.; e. maggiore (o, più spesso, maggiore e.), l'età, determinata dalla legge, alla quale l'individuo diviene giuridicamente responsabile dei proprî atti (l'età inferiore a questa si dice e. minore e più comunem. minore e.); limiti di e., l'età con la quale cessa un determinato diritto o rapporto: non è stato ammesso al concorso perché ha superato i limiti d'età; andare in pensione per raggiunti limiti d'età.
Felicità
Stato e sentimento di chi si sente pienamente soddisfatto nei proprî desiderî, che ha lo spirito sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato.
Femminicidio
Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.
Festival
Festival (alla fr. festivàl; raro festivale) s. m. [dall'ingl. festival ‹fèstëvël›, che è dal fr. ant. festival ‹festivàl› «festivo», lat. mediev. festivalis].
1. Festa popolare, spesso all'aperto, con musiche, balli, luminarie.
2. Serie di manifestazioni e spettacoli, musicali, teatrali, cinematografici, per lo più periodici: f. della canzone, f. del cinema; il f. di Sanremo, di Cannes, ecc. Con uso più partic., f. scacchistico internazionale, manifestazione agonistica che comprende un distinto torneo di scacchi per ognuna delle varie categorie.
Figlio
1. Figlio s. m. [lat. fīlius, della famiglia di fecundus, femĭna, ecc.].
a. Il generato rispetto ai genitori (talora anche rispetto ai progenitori): mio, tuo, suo f. (normalmente senza articolo); padre, madre e figli; f. maggiore, minore; f. unico di madre vedova, che, in quanto tale aveva l'esenzione dal servizio militare (oggi non più obbligatorio); fig., scherz., di cosa da trattare con cura perché è l'ultima che resta; Molte fïate già pianser li figli Per la colpa del padre (Dante); i f. dei f., i lontani discendenti; i figli d'Adamo, i f. d'Eva, gli uomini, l'umanità: il Signor ... a tutti i f. d'Eva, Nel suo dolor pensò (Manzoni); con altro uso e tono, siamo tutti figli d'Adamo, siamo tutti uomini, e come tali tutti uguali, o tutti soggetti a sbagliare. Seguito dalla prep. di e dal nome di uno o di entrambi i genitori, serve spesso a determinare la persona non direttamente ma nella sua relazione di parentela con persona che ci è più nota o familiare: si sposa il f. del nostro capomastro; nei poemi classici è perifrasi frequente per designare eroi o divinità: il f. di Laerte, Ulisse; il f. di Latona e di Giove, Apollo. Non indica di necessità il sesso maschile e può spesso riferirsi, spec. nel plur., promiscuamente a maschi e femmine; così per es. nelle frasi: i f. sono una gran consolazione; hanno sette f. da sfamare, ecc.; e anche, in genere, nelle espressioni f. naturale, legittimo, illegittimo, riconosciuto, legittimato, adottivo, f. postumo, ecc. Precisando: un f. e una figlia; augurî e f. maschi!, salute e f. maschi!, formule d'augurio di tono per lo più scherzoso. Dicendo f. primogenito, secondogenito, il primo, il secondo f., s'intende per lo più, ma non di necessità, il maschio.
2. Usi fig.:
a. Vocativo affettuoso rivolto da persona anziana, da un religioso, da un superiore, ecc., a un giovane o anche a persona adulta (spec. al plur. e seguito da un agg., altrimenti è più com. figliolo, che in ogni caso è forma più fam.): Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi L'anime di color cui vinse l'ira» (Dante, facendo parlare Virgilio); f. dilettissimi, nelle allocuzioni dei prelati ai fedeli.
b. Il cittadino rispetto alla patria o al paese in cui è nato: Dove sono i tuoi f.? (Leopardi, all'Italia); Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra (Foscolo, a Zacinto).
c. Per indicare più genericamente origine, provenienza, con riferimento all'ambiente e alle condizioni sociali: è un f. del popolo; o al carattere, all'ingegno, alle tendenze rappresentative di un'epoca: fu vero f. del suo tempo, del suo secolo; in partic., f. d'arte, attore discendente, talora per più generazioni, da attori, che ha avuto per scuola il palcoscenico e che ha cominciato a recitare ancora giovanissimo.
Futuro
1. futuro agg. e s. m. [dal lat. futurus, part. futuro di esse «essere»].
a. agg. Che sarà o verrà in seguito; che, rispetto al presente, deve ancora avvenire: i secoli f.; la vita f. (in partic., quella dopo la morte, l'oltretomba); Ch'una favilla sol de la tua gloria Possa lasciare a la f. gente (Dante); quando vaghe di lusinghe innanzi A me non danzeran l'ore f. (Foscolo); il dì futuro Del dì presente più noioso e tetro (Leopardi). Riferito a persona: il f. direttore, la sua f. sposa, ecc., che, cioè, tale sarà o si pensa che debba essere in seguito (con il sign. di «futuro sposo», talora sostantivato al masch., ma solo in usi scherz. o iron.: che cosa ne dice il tuo futuro?).
2. s. m. Il tempo che verrà o gli avvenimenti che in esso si succederanno: prevedere, indovinare, predire il f.; leggere nel f.; pensare al f.; l'incertezza del f.; speranze per il f., ecc.; locuz. avv. in futuro, nel tempo avvenire.
Generazione
1. generazione s. f. [dal lat. generatio -onis].
a. L'insieme dei discendenti che si trovano a una stessa distanza da un capostipite comune: prima, seconda, terza g.; tramandare, trasmettere di g. in g., di padre in figlio.
b. Nella specie umana, l'insieme degli individui aventi pressappoco la stessa età: la g. presente; le nuove g.; le g. passate; gli uomini della mia g.; talvolta, più genericam., tutti gli uomini, anche di differente età, che vivono nello spazio di tempo di cui si parla: fu una g. fortunata quella che poté vivere in quel lungo periodo di pace e di tranquillità. Con sign. più ampio, la g. umana, la stirpe umana, gli uomini.
c. In statistica, nelle scienze attuariali e anche nel linguaggio com., il tempo medio (calcolato all'incirca in 25 anni) che intercorre tra una generazione e quella successiva. Con sign. più ristretto, nella storiografia letteraria tedesca, francese, ecc., periodo medio di 10 anni; in tale accezione il termine è usato talvolta anche dalla critica letteraria italiana più recente: poeti della quarta g., quelli del 2° dopoguerra (considerando prima g. quella postdannunziana). G. bruciata, g. perduta, locuzioni di origine letteraria usate per indicare quelle generazioni che, sorprese da una guerra o da altro grave evento proprio nell'età in cui l'uomo normalmente si matura ed è più produttivo di opere e di lavoro, sono state così private dei loro anni migliori.
Generazione X
Locuzione di origine inglese che indica i nati di ambo isessi tra il 1965 e il 1985, caratterizzati dal venir meno dei punti fermiideologici tradizionali e dall'incertezza lavorativa causata dalla crisieconomica.
Generazione Y
Locuzione di origine inglese che indica i nati di ambo isessi tra il 1985 e il 2005, costretti ad adattarsi alla mobilità e precarietàlavorativa ma pienamente a loro agio con le nuove risorse telematiche e con lacomunicazione mediata digitalmente.
Giovani
1. gióvane (meno com. gióvine) agg. e s. m. e f. [lat. iŭvĕnis] (nel plur., quasi esclusivam. gióvani).
a. Che è nell'età della giovinezza: uomo g., donna g.; due g. sposi; una signora giovanissima; da g., in gioventù: da g. era un bell'uomo; talora determinato dal complemento: g. d'anni, g. d'età; spec. in contrapposizioni: g. d'anni e maturo di senno; Giovine d'anni e rugoso in sembiante (Foscolo).
Per estens., giovanile: ha un viso g. e fresco; si mantiene sempre giovane. Con uso fig.: essere g. di spirito, di mente, di cuore, con allusione alla freschezza, all'ingenuità, alla vivacità dei sentimenti, e sim.; analogam.: avere un cuore g., lo spirito giovane.
b. In senso relativo, che non ha ancora l'età richiesta, o l'esperienza necessaria a determinati fini: è ancora g. per votare; sei troppo g. per decidere; è g. del mestiere.
c. Con sign. più ampio, in contrapp. esplicita, o più spesso implicita, a vecchio, anziano (cioè all'età senile e alle sue caratteristiche): è morto ancora g.; ormai non è più tanto g.; spec. con riguardo alle forze fisiche, al vigore della mente: ha quasi settant'anni, ma è (o si sente) ancora giovane.
Con valore relativo, più g., meno g., minore o maggiore di età rispetto ad altra persona: è più g. di me; ha la mia stessa età, eppure sembra meno g. di me; talvolta, aggiunto a nomi di personaggi storici, li distingue da altri omonimi più antichi o più vecchi: Plinio il Giovane, Michelangelo Buonarroti il Giovane.
2. s. m. e f.
a. Persona che è nell'età della giovinezza: si è fidanzata con un g. del suo paese; è una bella g.; saper comprendere i g.; una scuola, un convitto di 500 giovani. Protesta dei g., lo stesso che contestazione giovanile (v. contestazione).
Ideea
1. Ideea s. f. [dal gr. ἰδέα, propr. «aspetto, forma, apparenza», dal tema di ἰδεῖν «vedere»]. –
a. Nel sign. più ampio e generico, ogni singolo contenuto del pensiero, ogni entità mentale, e più in partic. la rappresentazione di un oggetto alla mente, la nozione che la mente si forma o riceve di una cosa reale o immaginaria: l'i. di Dio, dell'universo, del tempo, dello spazio, della bontà, della bellezza, dei colori, ecc.; l'i. del bene e del male può variare da uomo a uomo; avere un'i. chiara, netta, esatta, precisa, adeguata (oppure oscura, incerta, confusa, inesatta, vaga, approssimativa, inadeguata) di una realtà. Con riguardo all'espressione delle idee: i. espressa in parole, tradotta in immagine; vocabolo, segno che esprime un'i. o richiama un'i.; nella parola «fuoco» sono implicite le i. della fiamma, della luce e del calore.
2. Nel linguaggio com.:
a. Rappresentazione mentale schematica, sommaria, ossia nozione elementare, di un oggetto, di un fatto, di un concetto: non so con precisione che cosa sia la psicolinguistica, ne ho appena un'i.; non ha neppure l'i. di ciò che significhi lavorare sul serio. Farsi, formarsi un'i. di qualche cosa, concepirla nei suoi caratteri essenziali, in modo più o meno corrispondente alla realtà: ho scorso alcune pagine per formarmi un'i. sull'argomento del libro; se non hai visto con i tuoi occhi quello spettacolo, non puoi fartene un'idea. Dare un'i. di qualcosa, suggerirne una nozione schematica, approssimativa: il meccanismo è semplice e te ne darò un'i. in poche parole; è un ipocrita, e basta questo fatto a dartene l'idea. Riferendosi a cose straordinarie, fuori del comune, quasi inconcepibili: un dolore, una forza, un'impudenza da non averne i.; ha detto tali sciocchezze, da non averne idea. Più genericam., avere idea, sapere, sia pur vagamente, o immaginare: hai i. di ciò che ti aspetta?; in frasi negative, non avere i. di qualcosa, non avere la minima i., non sapere affatto, non riuscire a immaginare: non ho i. (o non ho nessuna i.) di come funzioni questo congegno; non avevo la minima i. del luogo dove mi trovavo; non ho ancora i. (o l'i.) di ciò che farò domani.
b. L'attività della mente rivolta a immaginare una possibile realtà (in contrapp. alla realtà stessa): alla sola i. di un pericolo simile mi sento rizzare i capelli; basta l'i. che uno lo possa contraddire per farlo andare in bestia; anche soltanto l'i. di rivederla lo manda in estasi. Quando non ci sia la contrapposizione diretta alla realtà, è per lo più sinon. di prospettiva: è un'i. che fa rabbrividire; non mi rallegra certo l'i. di dover ricominciare tutto da capo; mi sorride l'i. di avere qualche giorno di vacanza; l'i. che un giorno o l'altro questo possa succedere mi spaventa. Sign. un po' diverso ha nelle espressioni fam. ho l'i., mi dà l'i., cioè ho un vago timore o sentore, ho il sospetto e sim.: ho l'i. che non otterremo nulla; mi dà l'i. che stavolta va a finire male!
3.
a. Il concetto che è alla base di un discorso, di un'opera poetica o letteraria, il significato essenziale di un ragionamento, il senso riposto di una frase: l'i. dominante di un carme; questa è l'i. centrale dell'articolo; ho letto attentamente il suo saggio, ma non ne ho afferrata l'i.; le parole le ho udite ma non credo di averne colto l'idea. In musica, i. fondamentale, i. secondaria, di una composizione strumentale, sinon. di tema.
b. Ispirazione, progetto, proposta da tradurre in realtà: un'i. audace, grandiosa; abbiamo avuto la stessa i. (frase che può significare anche: ci è venuto in mente lo stesso pensiero, abbiamo avuto la stessa intenzione, ecc.); è stata un'ottima i. quella di rivolgersi a lui; scherz., mi pare una saggia i. quella di andarcene tutti a dormire. Con sign. più generico, il prodotto dell'attività inventiva della mente, trovata ingegnosa: mi viene un'i.!; hai avuto un'i. veramente geniale, luminosa; gli balenò un'i. felice; non è stata certo un'i. brillante la tua. Spesso è piuttosto sinon. di capriccio, ghiribizzo: che i. uscire con questo tempaccio!; iron.: bell'i. venire a seccar la gente a quest'ora!; non ti far venire certe i.!, certe voglie o certi pensieri strani. Mi piace l'i.!, espressione ironica di protesta contro un'iniziativa o una proposta altrui che offende in qualche modo la nostra suscettibilità o urta contro i nostri interessi: lui vuole stare in poltrona mentre io sgobbo? mi piace l'i.!; e dovrei pagare tutto io? mi piace l'i.! Al plur., manie di grandezza, aspirazioni o tendenze biasimevoli : ha troppe i. per la testa, troppi grilli; con queste tue i. finirai col rovinarti; ha delle i. che mi piacciono poco.
Immigrazione
1. immigrazióne s. f. [der. di immigrare].
a. In generale, l'insediamento di uomini in paesi diversi da quello in cui sono nati, per cause naturali o politiche; può essere di massa o d'infiltrazione, secondo che le unità che si spostano comprendano varie migliaia di individui oppure siano di scarsa entità: i. interna, quella che avviene all'interno di uno stesso stato; i. esterna, quella diretta all'estero. Con sign. più specifico, l'arrivo e lo stabilirsi, nel territorio di uno stato, di lavoratori stranieri: l'aumento, la diminuzione dell'i. clandestina.
Lavoro
1. lavoro s. m. [der. di lavorare].
a. In senso lato, qualsiasi esplicazione di energia (umana, animale, meccanica) volta a un fine determinato: il l. dell'uomo, dei buoi, di un cavallo, di una macchina, del computer; l. muscolare, quello compiuto dai muscoli dell'organismo umano e animale nell'esplicazione delle funzioni loro proprie.
b. Più comunem., l'applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell'uomo rivolta direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale: il l. manuale, il l. intellettuale; i frutti del l.; la gioia, la soddisfazione del l.; essere abile, inabile al l.; amare il l. per sé stesso; l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul l. (art. I della Costituzione).
c. In senso più concr., l'attività stessa applicata praticamente a un oggetto determinato: incominciare, intraprendere, abbandonare, smettere, riprendere, terminare un l.; assumersi un l., dei l.; mettersi, essere al l. (mi alzo ogni mattina alle 6, e alle 7 sono già al l.); dedicarsi, consacrarsi al l., a un l.; essere attaccato al proprio l.; essere avanti, indietro, a buon punto col l., rispetto alle previsioni, al programma, o all'impegno assunto; avere un monte (o un mare) di l. arretrato; opera, ricostruzione che richiede molti anni di l.; è un'invenzione che è costata lunghissimi anni di l.; essere pieno, carico, sovraccarico di l.; avere poco, molto l., essere poco o molto impegnato (ma, riferito a imprese industriali, commerciali, artigiane, a esercizî pubblici, a studî professionistici, ecc., essere poco o molto attivi, in relazione alle vendite, alle richieste, alla clientela e sim.). Con riguardo alla qualità, alla difficoltà, al genere: un l. piacevole, ingrato, facile, difficile, faticoso, pesante; l. continuo (v. continuo1); un l. di pazienza, di precisione, di responsabilità; l. di mano, di braccia, di forza, e l. di mente, d'intelligenza, di concetto; l. meccanico, che impiega solo in piccola parte la mente, o monotono; l. umile, servile; l. di scalpello, di muratura; il l. dei campi, la coltivazione della terra; il l. delle fabbriche, delle officine, delle ditte, delle aziende; l. femminili (in cui si comprendono tradizionalmente i l. d'ago, di cucito, di ricamo, a maglia, e i l. domestici, cioè in genere le faccende di casa); e con riguardo al modo di lavorare o all'organizzazione dell'attività lavorativa: l. individuale, collettivo; l. di squadra e più com. d'équipe (in partic., lavoro a squadre o di gruppo, metodo didattico che si propone di sviluppare il senso di solidarietà sociale e di responsabilità individuale, attraverso la libera formazione di gruppi di alunni che scelgono insieme una parte del programma scolastico, e si distribuiscono il lavoro secondo le attitudini di ciascuno); con riguardo al rendimento, ai risultati ottenuti o da ottenere: l. utile, inutile; e con sign. più specifico, in economia, l. produttivo, improduttivo, secondo che si traduca o no in accrescimento di ricchezza. Al plur., complesso di opere tecniche: l. idraulici, di arginatura, di bonifica, di difesa; i l. del porto; l. pubblici, destinati alla creazione, sistemazione e manutenzione delle opere pubbliche; l. di mina, per la demolizione di strutture edilizie; l. in terra, per la realizzazione di opere provvisorie di fortificazione nei campi di battaglia; dare inizio ai l. per l'apertura di una galleria; strada chiusa al traffico per lavori in corso; genericam., sospendere, abbandonare i lavori. Anche (al sing.) il tempo in cui si è occupati in un'attività: durante il l. non voglio essere disturbato; e per metonimia, il luogo dove si lavora, soprattutto quando si tratti di lavoro subordinato e da compiersi in sede diversa dalla propria abitazione: andare al l., essere al l., uscire dal l., tornare, venire via dal l., abbandonare il l., essere assente dal lavoro. Con accezione specifica, ipotesi di lavoro, espressione (che traduce l'ingl. working hypothesis, o anche working idea, propr. «ipotesi, idea operante, che serve quale strumento di lavoro») con cui si designano le idee e le ipotesi che, anche se non rispecchiano la realtà delle cose, sono utili per operare su di questa, o per proseguire nell'indagine di essa.
d. Occupazione retribuita e considerata come mezzo di sostentamento, e quindi esercizio di un mestiere, di un'arte, di una professione (sempre e soltanto al sing.): vivere del, o con il, proprio l.; non ha altra fonte di reddito che il proprio l.; chiedere, cercare, trovare l.; avere, non avere lavoro, o un l.; incidente, infortunio sul l.; essere, restare senza l.; perdere il l.; procurare, promettere, offrire un l.; dare l. a qualcuno; domanda di l., quella che fa un datore di l. quando cerca lavoratori; offerta di l., quella fatta dal prestatore di l. (il significato delle due espressioni viene talvolta erroneamente invertito, intendendo per domanda di l. quella del lavoratore disoccupato, e per offerta quella fatta da un datore); mercato del l., l'insieme della domanda e dell'offerta, specificando il genere, i modi del lavoro, cioè della prestazione: l. autonomo, in contrapp. a l. subordinato o dipendente; l. parasubordinato, quello regolato da contratti di collaborazione coordinata e continuativa; l. a giornata, a cottimo, a ore; l. a tempo pieno, a tempo parziale (o a mezzo-tempo), o anche l. full time, part time; l. fisso o continuativo, in contrapp. a l. temporaneo, occasionale, a termine, saltuario, precario; l. atipico, a progetto, socialmente utile o di pubblica utilità (v. lavoratore, n. 1 b); l. a distanza, quello che viene svolto, mediante Internet e le moderne tecnologie informatiche, lontano da un posto di lavoro fisso; l. interinale, o in affitto, quello svolto da dipendenti di agenzie specializzate per conto di enti o imprese che ne abbiano fatto esplicita richiesta per fronteggiare determinate situazioni; l. a chiamata (o intermittente), quello, regolato da un'apposita incentivazione contrattuale, che prevede l'utilizzazione di un lavoratore, e l'immediata disponibilità di quest'ultimo a recarsi al lavoro, qualora un'impresa abbia particolari necessità o urgenze; l. a domicilio, che il lavoratore svolge nella propria abitazione; l. notturno, che si effettua nelle ore della notte; l. straordinario (anche sostantivato, lo straordinario), quello che si fa in più, oltre le ore normali; secondo l., quello (di natura e con rapporto diversi) svolto a integrazione di un altro, considerato principale; avere un doppio l.; l. minorile, quello svolto da fanciulli e ragazzi (v. minorile); l. nero (espressione ricalcata sul fr. travail noir e sul ted. Schwarzarbeit), o anche, sempre con connotazione negativa, l. sommerso, nel linguaggio sindacale e giornalistico, quello che viene mascherato sotto altre forme (a domicilio, mediante interposta persona, con apprendistato ripetuto o prolungato oltre i limiti stabiliti dalla legge, ecc.) che, mentre sfuggono alle garanzie sindacali e legislative per il lavoratore, consentono al datore di lavoro di evitare gli oneri relativi; l. alienato, espressione usata da K. Marx per indicare il processo per cui nella società capitalistica l'operaio non si riconosce nei prodotti della sua attività, che gli diventano estranei e opprimono la sua umanità. Considerato come attività sociale, e quindi sotto l'aspetto economico-giuridico: l'organizzazione del l.; divisione del l. (v. divisione); il fattore l., in quanto il lavoro viene considerato uno dei fattori che, insieme con il capitale, la terra e la capacità organizzativa, concorre alla produzione e viene remunerato col salario (l. salariato); il costo del l., nel processo produttivo; contratto di l., quello che regola il rapporto di l. tra datore e prestatore di lavoro (per il contratto collettivo di l., v. contratto2, n. 2); mobilità del l. (v. mobilità); controversie (individuali e collettive) del l.; diritto del l., la parte dell'ordinamento giuridico che disciplina la prestazione d'opera, comprendente il complesso delle norme attinenti al rapporto di lavoro subordinato, i diritti e doveri tra lavoratori e datori di lavoro, gli istituti previdenziali e assicurativi a favore dei lavoratori, l'organizzazione e l'attività sindacale; legislazione, codice, magistratura del l.; giudice del l., il giudice competente nelle controversie individuali e in materia di previdenza e assistenza obbligatoria; Camera del l. (v. camera, n. 6 c); medicina del l., ramo della medicina che ha per oggetto lo studio dei problemi di ordine fisiologico, psicologico e patologico relativi al lavoro umano, agli effetti nocivi che un determinato genere di lavoro, o il ritmo, l'ambiente di lavoro possono avere sull'organismo, e quindi la prevenzione e la cura delle malattie professionali. Cavaliere del l., chi è stato insignito dell'ordine cavalleresco al merito del lavoro, onorificenza concessa ai cittadini italiani che si siano resi benemeriti segnalandosi nell'agricoltura, nell'industria, nel commercio, nell'artigianato, nell'attività creditizia e assicurativa. Carta del l., sorta di contratto collettivo nazionale, elaborato e adottato dal regime fascista nel 1927, consistente all'inizio nella formulazione di norme nazionali unitarie valevoli per ogni caso e tipo di rapporto di lavoro, e divenuto poi un vero e proprio statuto politico e giuridico comprendente ogni attività produttiva nel quadro del già delineato ordinamento corporativo.
Letteratura
letteratura s. f. [dal lat. litteratura, der. di littĕra e littĕrae, secondo il modello del gr. γραμματική (v. grammatica)]. –
1. In origine, l'arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina. Oggi s'intende comunem. per letteratura l'insieme delle opere affidate alla scrittura, che si propongano fini estetici, o, pur non proponendoseli, li raggiungano comunque; e con sign. più astratto, l'attività intellettuale volta allo studio o all'analisi di tali opere: l. antica, classica, moderna; l. italiana, francese, inglese, provenzale, ecc.; l. universale; la l. del Trecento, del Settecento; e con riguardo al contenuto, alla forma, al carattere, ai fini che si propone: l. in prosa, in versi; l. narrativa, poetica, didascalica; l. popolare, popolareggiante, patriottica; l. impegnata o disimpegnata, a seconda che tratti o non tratti di problemi politici e sociali della realtà contemporanea; l. per l'infanzia; l. amena, le opere scritte principalmente col fine di dilettare (romanzi, racconti, novelle); l. erotica; l. di consumo, di livello più commerciale che artistico, destinata a un immediato smercio presso un largo pubblico; l. rosa, quella formata di romanzi e racconti sentimentali; in senso ampio (e con riferimento alle opere letterarie più valide): svolgimento, decadenza, rinnovamento della l.; corso di l., professore di l. (latina, italiana, ispano-americana, ecc.); dedicarsi alla l., studiare la l., ecc. Storia della l., quella che rappresenta lo svolgimento della letteratura di un popolo o anche di tutti i popoli (storia universale della l.), con notizie biografiche e giudizî critici sugli autori e le loro opere; anche il manuale, l'opera, il testo di studio, detti spesso, nell'uso fam., più brevemente letteratura: la l. del De Sanctis; ricordatevi di portare la l. domani a scuola.
Lezione
1. lezione s. f. [dal lat. lectio -onis «lettura», der. di legĕre «leggere»].
a. Spazio di tempo di durata determinata (che nelle scuole è generalmente di un'ora) nel quale il docente svolge una parte del suo insegnamento, e l'insegnamento stesso, che può essere precisato col nome delle singole materie, comprese nell'orario delle l. (l. di storia, di musica, di disegno, di educazione fisica, ecc.; domani dalle 10 alle 11 c'è l. di fisica) oppure indicato genericamente, in espressioni come inizio, termine della l.; prima della l., e durante, dopo la l.; far lezione (detto dell'insegnante); andare a lezione (detto dell'allievo); frequentare un corso di lezioni; saltare una l.; sospendere dalle l., ecc. Si riferiscono all'insegnamento privato le locuz. dare lezioni (specificando: di latino, di matematica, di canto, ecc.), prendere lezioni (più esplicitamente dare, prendere l. private).
b. Per analogia, discorso accademico fatto in pubblico su argomento scientifico o letterario.
c. estens. La parte di materia che, volta per volta, il docente svolge in classe o assegna agli alunni da preparare a casa: l. facile, difficile; è un professore che prepara coscienziosamente le sue l.; studiare, imparare, sapere, non sapere la l.; far le l., fare i compiti assegnati; ripetere la l., mentalmente o davanti all'insegnante (con la seconda accezione anche dire, recitare la l.); fig., pare che reciti la l., di chi fa un discorso con voce monotona, come se l'avesse imparato a memoria; recita la l., di chi non dice cose proprie ma ripete quello che altri gli ha suggerito di dire.
d. Al plur., lezioni, titolo che talora viene dato a opere ove sono stampate le lezioni fatte durante un corso scolastico o accademico, o in cui la materia sia esposta e distribuita con lo stesso metodo che si tiene nell'insegnamento. In lezioni sono anche divisi, invece che in capitoli, alcuni testi scolastici, spec. di grammatica.
Longevità
Durata della vita degli organismi oltre il limite medio.
Maschio
1. Maschio (pop. tosc. màstio) agg. e s. m. [lat. mascŭlus, dim. di mas «maschio»].
a. agg. e s. m. Dal punto di vista biologico, negli organismi a sessi separati, l'individuo che elabora i gameti maschili destinati a fecondare i gameti femminili in vista della riproduzione. In partic., con riferimento alla specie umana: due fratelli maschi; salute e figli maschi!, augurio che si fa a chi starnuta; letter. ant., la m. progenie, i discendenti maschili; e come sost.: ha due figli, un m. e una femmina; aspettare un m., festeggiare la nascita del m.; le è nato un bel m. (riferito a uomo già adulto, un bel m. è espressione di ammirazione, talora scherz., per il suo aspetto robusto e virile). Con riferimento ad animali: l'ultimo nato della capra è un m.; il m. della lepre, della tigre; in funzione di agg., serve a specificare il sesso di animali che hanno uno stesso nome per entrambi i generi (sempre al masch. anche se riferito a nomi femm., e al sing. anche se riferito a nomi plur.): una pantera maschio; aquila maschio e femmina; due lepri maschio.
b. agg. Virile, che ha la vigoria fisica o morale che si considerano proprie del maschio: aspetto m.; voce m.; m. figura; colui dal m. naso (Dante); donne con certe facce maschie (Manzoni); carattere m.; m. decisioni; m. stile; m. eloquenza.
Media sociali
media sociali (o ) locuz. sost. m. pl.
1. L’insieme delle tecnologie e degli strumenti dell’informazione e della comunicazione volti a creare, scambiare e condividere su Internet contenuti multimediali quali testi, immagini, video e audio. Si distinguono dai media tradizionali (per es. la televisione) per il modo di condividere e diffondere le informazioni, non più di tipo passivamente unidirezionale ma con la partecipazione attiva degli utenti, che da fruitori diventano anche editori, sulla base dei principi del web 2.0. Assumono diverse forme: siti di condivisione di materiale multimediale, web TV, web radio, forum, chat, blog, pagine wiki e combinazioni di esse. Comprendono giornali, Internet forum, weblog, social blog, flussi RSS (Really simple syndication), foto (per es. Flickr), video (per es. YouTube), podcast, reti sociali, bookmarking, mashup, mondi virtuali, microblog e altro ancora.
Millennial [non millenials]
Persona nata negli ultimi vent'anni del secondo millennio d. C.
Musica
L’arte che consiste nell’ideare e nel produrre successioni strutturate di suoni semplici o complessi, che possono variare per altezza (cioè per la frequenza delle vibrazioni del corpo sonoro), per intensità (cioè per l’ampiezza delle vibrazioni) e per timbro (che dipende dal materiale del corpo sonoro), per mezzo della voce umana, di strumenti o della combinazione di entrambe queste fonti.
Parola
s. f. [lat. tardo parabŏla (v. parabola1), lat. pop. *paraula; l'evoluzione di sign. da «parabola» a «discorso, parola» si ha già nella Vulgata, in quanto le parabole di Gesù sono le parole divine per eccellenza].
1. Complesso di fonemi, cioè di suoni articolati, o anche singolo fonema (e la relativa trascrizione in segni grafici), mediante i quali l'uomo esprime una nozione generica, che si precisa e determina nel contesto di una frase.
a. Intesa come unità isolabile nel discorso (nel qual caso è in genere sinon. di vocabolo), con riguardo alla sua natura, alla formazione e ad altri aspetti e qualità (per l'accezione più specifica in linguistica, v. oltre): le p. di una lingua; p. italiane, francesi, tedesche, arabe; l'origine, l'etimologia delle p.; il significato di una p.; p. breve, lunga, di tre, di cinque sillabe; p. variabili e invariabili; p. primitive, derivate, semplici, composte; p. piana, tronca, sdrucciola, bisdrucciola (rispetto alla posizione dell'accento tonico); il tema, la radice, la desinenza, il prefisso, il suffisso di una p.; declinazione, flessione delle p.; la disposizione delle p. nella frase; registrazione delle p. in ordine alfabetico. Rispetto all'uso (in senso temporale, spaziale, ambientale, ecc.): p. arcaica, antiquata, rara, non comune, regionale, dialettale, popolare, volgare, triviale, scurrile; p. dotte, letterarie, tecniche; p. scelte, ricercate; p. sconce (pop. brutte p.); p. nuove, i neologismi. Rispetto all'idea significata (e quindi alla comprensibilità, all'effetto sull'interlocutore, alla corrispondenza fra pensiero e espressione, ecc.): p. facili, difficili; esprimersi con chiare p., con p. oscure; p. propria, impropria; forse non è questa la p. esatta; cercare, trovare la p. adatta, le p. più efficaci; p. ambigue, a doppio senso; in tutto il senso, nel vero senso, nel senso più ampio della p.; non mi viene la p. (quando, nel parlare, non si trova sul momento il termine adatto); non ho capito una p. di quello che ha detto.
b. Con riferimento alla realizzazione orale (cioè alla pronuncia e all'articolazione) e alla qualità della percezione uditiva: articolare la p.; proferire una p.; pronunciare bene, male, forte, piano le p.; scandire, scolpire le p., pronunciarle con voce forte e distinta; strascicare, masticare, mangiare, mozzare, storpiare le p.; non riusciva a spiccicare una p.; parlare con p. tronche, mozze; la p. gli morì in gola, non riuscì ad articolarla interamente; borbottare, mormorare, brontolare qualche p.; balbettò poche p. di scusa; le sussurrò qualche p. all'orecchio; ho sentito bene le sue p.; non ho udito neanche una p. di tutto ciò che ha detto; non ho bene afferrato le ultime p.; ho colto al volo qualche parola. Prov., le p. volano e gli scritti restano (o rimangono), traduz. del motto lat. verba volant, scripta manent (v.). E specificando l'impressione soggettiva suscitata dal suono delle parole: p. dolci, armoniose, dure, aspre, ecc.
c. Con riferimento alla rappresentazione grafica: p. scritte a matita, con l'inchiostro, col gesso; p. dattiloscritte, stampate; p. incise nel marmo; p. in corsivo, in tondo, in grassetto (nella stampa); mettere una p. fra parentesi; abbreviare una p.; scrivere la p. per esteso; nel manoscritto la p. è illeggibile; divisione delle p. in sillabe, di una parola in fin di riga.
d. In linguistica, nell'accezione più com., la minima unità isolabile all'interno della frase e del discorso, formata da uno o più fonemi, e dotata, quanto al significato, di un senso fondamentale (cioè di una sfera semantica in cui essa, isolata, vive nella coscienza linguistica dei parlanti), e di un senso contestuale (ossia il particolare valore che essa assume in un determinato contesto). Anche, termine usato talvolta dai linguisti per rendere il fr. parole (v.), nella particolare accezione conferitagli da F. de Saussure.
2.
a. Al plur., con riferimento spesso non alle singole unità lessicali isolate, ma all'insieme degli elementi che costituiscono il discorso: mi spiegherò, te lo dirò in poche p.; a buon intenditor poche p. (prov.); il succo delle sue p. è questo; per esprimermi con le sue stesse p.; tu hai frainteso le mie p.; le sue p. mi sono sembrate strane, incomprensibili; non ho parole, non trovo parole (per ringraziarvi, per scusarmi, ecc.), modo di dichiarare l'inadeguatezza dell'espressione all'intensità del sentimento (analogam.: non ci sono p. per biasimare la tua condotta, e sim.); dire parole a caso, a vanvera, vuote, senza senso; esprimersi con p. semplici; fam., p. sante le tue!, piene di verità; p. sacramentali, quelle che il sacerdote deve pronunciare per la validità del sacramento; pronunciare delle p. magiche; finalmente hai detto delle p. assennate; predicava con p. ispirate; parole impertinenti, ardite, audaci, temerarie. Con riguardo al tono, al sentimento che le ispira, e sim.: p. gentili, amichevoli, affettuose; p. ostili, nemiche, piene d'astio; p. sdegnose o di sdegno; p. superbe; parole d'ira; p. melliflue; parole di pietà, di compassione, di perdono; in quel tempo mi sentivo pronunciare p. udite solo al cinema o lette in un romanzo, p. che mai avrei pensato di poter pronunciare, come «ti amo» o «amore mio» (Raffaele La Capria); parole di fuoco, infiammate dalla passione o dallo sdegno; parole scritte a lettere di fuoco, che restano fortemente impresse nella memoria; calmare con buone p., con frasi improntate d'affetto; accogliere, cacciare con male p., con frasi sgarbate, con insulti. Con riguardo all'effetto che producono in chi ascolta: p. efficaci, persuasive; p. deprimenti; p. amare, offensive; le p. che mi dici sono molto gravi. Con riguardo alla corrispondenza fra il pensiero o sentimento e l'espressione verbale (cioè alla verità o falsità del discorso): p. sincere, leali, false, bugiarde, menzognere. Con allusione a litigi, a contrasti verbali, a ingiurie reciproche e sim.: ci sono state fra loro p. grosse; Corsero a un tratto, con stupor de' tigli, Tra lor parole grandi più di loro (Pascoli); c'è stato fra i due un vivace scambio di parole; venire a parole, a contrasto, a una lite, a uno scambio d'insulti; allude a discussioni e litigi (o, più semplicem., al prolungarsi di una normale conversazione) anche il prov. una p. tira l'altra.
b. Con sign. più ampio, ciò che qualcuno dice, il contenuto del suo discorso: le sue p. non mi persuadono; tutti furono convinti dalle sue p.; le p., anche le più effimere, sono fatti, pesanti come mannaie, lasciano segni profondi (Aldo Busi); le p. di un filosofo, di uno scienziato, di un grande maestro. In partic., ammaestramento, consiglio: da' retta alle mie p.; non ha voluto dare ascolto alle mie p.; ho fatto tesoro delle sue p., ecc. Parole di vita, la predicazione, l'insegnamento religioso.
c. Sempre al plur., il testo poetico di una composizione musicale: canzone composta da ... su parole di ...; parole e musica di A. Boito.
Passione
1. passione s. f. [dal lat. tardo passio -onis, der. di passus, part. pass. di pati «patire, soffrire»]. – In senso generico, e in rapporto al sign. fondamentale del verbo lat. pati (v. patire1), il termine passione si contrappone direttamente ad azione, e indica perciò la condizione di passività da parte del soggetto, che si trova sottoposto a un'azione o impressione esterna e ne subisce l'effetto sia nel fisico sia nell'animo.
a. Nell'uso com., sentimento intenso e violento (per lo più di attrazione o repulsione verso un oggetto o una persona), che può turbare l'equilibrio psichico e le capacità di discernimento e di controllo: la p. dell'odio, dell'ira; essere dominato, accecato dalla p.; avere l'animo turbato, agitato, sconvolto da opposte p.; essere schiavo delle p.; fomentare, eccitare una p.; aizzare, rinfocolare le p. politiche, le faziosità, gli odî di parte; la lotta, lo scontro, la tempesta, lo scoppio delle p.; l'impeto della p.; frenare, domare le p.; spogliarsi delle umane passioni; senza p. non c'è conoscenza, senza p. non c'è esperienza e nemmeno storia (Tiziano Scarpa).
b. In partic., violento amore sensuale: essere preso da p. per una donna; essere infiammato di p.; avere una p. segreta; reso cieco dalla p.; p. violenta, sfrenata; una p. colpevole; una p. giovanile, senile. In senso concr., la persona stessa che ha ispirato tale sentimento (spesso con sign. attenuato, la persona amata o desiderata): è stata lei la mia prima passione.
c. estens. Inclinazione vivissima, forte interesse, trasporto per qualche cosa: avere la p. del gioco, delle carte; avere p. per lo sport, per la caccia, per la musica, per la pittura; ha sempre avuto la p. della montagna; gli è venuta la p. dei cavalli. Più concretam., la cosa stessa, l'attività che è oggetto dell'inclinazione: la caccia è la sua p.; la mia più grande p. è dipingere. Fare qualche cosa con p., con partecipazione profonda, per naturale inclinazione e con dedizione totale di sé: fare con p. il medico, l'insegnante; tutto ciò che fa, lo fa con vera p.; in altro senso, parlare con p., recitare, cantare, suonare con p., con intensità di sentimento.
Paura [non paure]
Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso.
Politica
1. politica s. f. [femm. sostantivato dell'agg. politico (sottint. arte); cfr. gr. πολιτική (τέχνη)].
a. La scienza e l'arte di governare, cioè la teoria e la pratica che hanno per oggetto la costituzione, l'organizzazione, l'amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica; le norme, i principî, le regole della p.; scrivere, trattare, discutere di politica.
b. Più concretam., l'attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare, l'insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini, sia per ciò che riguarda i problemi di carattere interno (p. interna), sia per ciò che riguarda le relazioni con altri stati (p. estera, p. internazionale). Con riferimento alla natura dei varî problemi presi in considerazione: p. economica, lo studio dei diversi orientamenti che può assumere l'intervento statale nella vita economica e dei loro probabili effetti, e, in partic., l'analisi dell'attività economica statale e dei criterî a cui è ispirata: p. economica mercantilistica, p. economica liberista, p. economica bellica, p. economica pianificatrice; con sign. concr., l'insieme dei provvedimenti economici adottati da determinati stati in determinati momenti storici o periodi di tempo: la p. economica italiana fra le due guerre; la p. economica del new deal; p. commerciale, comprendente tutti i provvedimenti diretti a regolare il commercio, soprattutto con l'estero più propriam. si parla di p. doganale, con riferimento a provvedimenti quali dazî, trattati commerciali, esportazioni e importazioni temporanee, porti e punti franchi, ecc.; relativamente ai suoi principali indirizzi, la politica commerciale può essere liberista, mercantilista, protezionista, ecc.; p. della congiuntura (o congiunturale), comprendente tutte le misure atte a evitare la crisi, o almeno ad attenuare le ondate del ciclo economico (perciò detta anche anticiclica), frenando l'espansione quando diviene troppo accentuata e arginando la depressione; p. creditizia, il complesso e il carattere dei provvedimenti del governo e della banca centrale miranti a disciplinare, espandere o contrarre il credito (può essere soltanto quantitativa o anche qualitativa, ed è detta p. bancaria quando i provvedimenti suddetti si riferiscono soltanto all'attività creditizia delle banche); p. finanziaria, che considera l'assunzione dei compiti e relative spese da parte dello stato, e il reperimento delle entrate necessarie con conseguente riparto dell'onere tra i cittadini (si parla anche di p. di bilancio o fiscale e, in senso più ristretto, di p. tributaria); p. monetaria, in genere, l'azione dei poteri pubblici nella sfera della moneta e del credito per fini di controllo economico; p. dei redditi, v. reddito; p. demografica, in senso lato, l'insieme di misure aventi il fine di determinare nella popolazione mutamenti spec. in senso quantitativo, intesi cioè ad accrescerla o a limitarla; e ancora, sempre determinando i settori d'interesse: p. sociale, p. industriale, p. agraria, p. sanitaria, p. scolastica, ecc.
c. Modo particolare con cui uno stato, un governo, un capo di governo imposta e cerca di risolvere l'insieme dei problemi politici di varia natura, spec. quelli di maggior portata e gravità: la p. italiana, francese; la p. espansionistica degli Asburgo; la p. di Metternich, di Cavour, di De Gasperi. Seguito da varie qualificazioni, sempre con riferimento concreto all'esercizio del potere, alla condotta politica: fare una p. forte, energica, saggia, accorta, lungimirante, o una p. debole, imbelle, stolta, cieca; una p. onesta, machiavellica, diabolica; una buona, una cattiva p.; una p. sbagliata; una p. rinunciataria; una p. progressista, rivoluzionaria, conservatrice, reazionaria; p. di accerchiamento (v. accerchiamento, n. 2 b); la p. delle mani nette (v. mano, n. 1 b); p. dello struzzo, comportamento di un governo (o anche di un'amministrazione, di un dirigente, ecc.) che finge di ignorare la situazione reale, per timore di affrontarla; p. della foglia di carciofo (o p. del carciofo), espressione del linguaggio pubblicistico, usata per indicare l'azione di politica estera tendente a risolvere i problemi territoriali mediante parziali e successive annessioni: l'espressione deriva da una frase pronunciata da Carlo Emanuele III re di Sardegna, all'epoca delle trattative diplomatiche austro-sabaude durante la guerra di successione polacca (1733-38), per giustificare la limitazione delle aspirazioni sabaude alla Lombardia austriaca.
d. L'attività di chi partecipa direttamente alla vita pubblica, come membro del governo, del parlamento, di un partito, di un sindacato, di un movimento, ecc.: p. militante, attiva; darsi alla p.; entrare in p.; ritirarsi dalla politica; fare p. (o, meno com., fare della politica), occuparsi di politica, svolgere attività politica; anche, trattare un argomento politicizzandolo, in modo non obiettivo: questo non è spiegare la storia, è fare politica!
e. Qualsiasi argomento, fatto, questione che riguardi, più o meno direttamente, il governo e l'amministrazione di uno stato, le relazioni internazionali, l'operato dei partiti e sim., soprattutto in quanto se ne faccia oggetto di discussione e di conversazione: intendersi, non intendersi, discutere di p.; occuparsi di p.; non parliamo di p.!; per favore, lasciamo stare la p.; p. da caffè (meno com., da farmacia), i ragionamenti e le discussioni di chi parla di argomenti politici in modo superficiale, senza averne la minima competenza; p. spettacolo, la politica che rappresenta e mette in scena se stessa, secondo una tendenza che, con il progressivo incremento dell'importanza del mezzo televisivo, vede nella personalizzazione dello scontro politico e nella visibilità dei candidati in lizza due fattori decisivi per l'orientamento al voto dell'elettorato.
Popolo
Il complesso degli individui di uno stesso Paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione (indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate).
Previsione
Previsione s. f. [dal lat. tardo praevisio -onis, der. di praevisus, part. pass. di praevidere «prevedere»].
1. Il fatto di prevedere, di supporre ciò che avverrà o come si svolgeranno in futuro gli eventi, basandosi su indizî più o meno sicuri, su induzioni, ipotesi o congetture: una p. giusta, sbagliata; fare una p.; azzardare delle p.; scopo delle teorie scientifiche è consentire p. controllabili sperimentalmente. In meteorologia, p. del tempo, la situazione meteorologica che, in base allo studio fisico delle masse d'aria e delle discontinuità tra masse d'aria diverse, nonché in base alle rilevazioni effettuate da strumenti, satelliti artificiali, ecc., successivamente elaborate tramite calcolatori elettronici, si può prevedere per le prossime ore e i prossimi giorni (attualmente è possibile effettuare previsioni molto attendibili nell'ambito di 48 ore, soddisfacentemente attendibili per le successive 48 ore, cioè sino a 4 giorni, e puramente indicative per giorni successivi); correntemente, con la stessa locuz. viene chiamato il bollettino meteorologico trasmesso periodicamente per radio o per televisione: hai sentito le ultime p. del tempo? In economia e in finanza, p. economica, p. finanziaria, indagini circa i risultati economici o finanziarî di tutta o parte della gestione futura di un'azienda; bilancio di p. (o preventivo), il documento contabile relativo a un'intera gestione finanziaria o economica di un'azienda. Com. la locuz. avv. in p. di ... (o nella p. che ...), prevedendo un determinato avvenimento: si presero le misure necessarie in p. di un attacco nemico; nella p. che nevichi sarà meglio rifornirci di provviste. Con valore più concr., spesso al plur., quanto si prevede o è stato previsto per il futuro: tutto si è svolto secondo le p.; le p. si sono in gran parte avverate, oppure sono state smentite dai fatti; non vorrei fare p. troppo pessimistiche!; aveva per se stessa solo p. nere, sfiduciate: per me continuava a credere in un avvenire felice (L. Romano).
Propaganda
propaganda s. f. [tratto dalla denominazione della Sacra congregazione pontificia De propaganda Fide, che significa «della propagazione della fede»; propaganda è propr. il gerundivo femm. del verbo propagare].
1. Azione che tende a influire sull'opinione pubblica, orientando verso determinati comportamenti collettivi, e l'insieme dei mezzi con cui viene svolta: p. religiosa, politica, elettorale, commerciale; p. radiofonica, televisiva, giornalistica, a mezzo stampa; esercitare un'attiva p.; organizzare una campagna di p.; una p. abile, occulta, insistente, martellante, ossessiva; p. sovversiva (v. sovversivo); fare p. per un'idea, per un partito, per un prodotto (ma con riferimento a prodotti commerciali, è preferito il termine pubblicità); ufficio di p. (o ufficio p.), in imprese commerciali, quello che ha il particolare compito di curare la pubblicità e studiare i mezzi più efficaci per diffondere i proprî prodotti e per incrementare le vendite.
2. estens. Complesso di notizie destituite di ogni fondamento, diffuse ad arte e per fini particolari: non mi hai fatto certo una bella p. nel tuo ambiente!; si è trattato di una p. denigratoria per rovinargli la carriera; sono tutte menzogne, dette solo per farsi p.!; è tutta p.!; è solo p.!, espressioni com. per esprimere sfiducia nei confronti di azioni, manifestazioni, iniziative che hanno in realtà solo fini propagandistici e interessati.
Raccontare
1. raccontare v. tr. [der. di contare, col pref. ra-] (io raccónto, ecc.).
a. Riferire fatti o parole, spec. a voce: gli piace r. a tutti i fatti suoi; va raccontando i discorsi che sente in casa. Più generalmente equivale a narrare, ma ha tono più fam. e meno solenne; è usato quindi, di preferenza, quando si tratta di fatti privati e quando il discorso è fatto senza particolare cura o arte: mi raccontò un'avventura di viaggio; r. le proprie disgrazie agli amici; r. un sogno; r. frottole; cose che non si possono r.; r. succintamente, diffusamente, bene, male, ordinatamente, confusamente, per filo e per segno; mi ha raccontato di avere vissuto a lungo in Francia; ai genitori raccontò che era stato maltrattato; talora anche usato per narrazioni di carattere letterario, sempre tuttavia fatte con tono familiare: r. una novella, una favola; r. la trama di un romanzo, di una commedia, di un film. Con compl. indeterminato: poterla r., averla scampata bella; con intonazione iron., la sa r., di chi spaccia frottole o mentisce con faccia tosta; ne raccontano di tutti i colori; a me la vieni a r.?; a raccontarla nessuno ci crederebbe.
Radio
1. Forma abbreviata, e molto più com. nell'uso corrente, di radiofonia e radiotelegrafia (talvolta anche di radiotecnica): l'invenzione della r.; la storia, i progressi della r.; mediante la r. sono collegati rapidamente fra loro i paesi più lontani; intendersi, essere un po' pratico di radio.
2. L'organizzazione che provvede a diffondere mediante trasmissioni radiofoniche notizie, musica, spettacoli di varietà, opere drammatiche, conversazioni di vario argomento, ecc.: la r. di stato (e, di contro, r. private, o commerciali, libere); questa sera la r. trasmette un'opera lirica; canzonette diffuse dalla r.; i concorsi banditi dalla r.; la r. francese, vaticana, ecc.; i funzionarî, i presentatori della r.; i programmi della radio. In queste e in altre frasi (per es., l'antenna della r.) s'intende anche, spesso, la stazione radiotrasmittente; in qualche caso, il singolo apparecchio trasmittente (per es.: una r. clandestina, pirata). Da notare inoltre le espressioni brachilogiche come abbonamento radio, o radio-Montecarlo (anche senza il trattino) e sim., sempre riferentisi alle stazioni trasmittenti e alla relativa organizzazione. Radio fante, espressione scherz. del linguaggio milit. (anche radiofante), nata durante la seconda guerra mondiale per indicare la fonte incontrollabile, ma spesso sicura, da cui si diffondevano tra i militari notizie relative alla guerra o alla situazione politica, al proprio reparto o corpo.
3. Nel linguaggio com., l'apparecchio radiofonico detto più tecnicamente radioricevitore: una r. portatile a transistori; aprire o accendere, chiudere o spegnere la r.; tenere la r. al massimo volume; far riparare la radio; talora anche l'apparecchio radioricetrasmettitore: militari addetti alla radio. Dim. radiòla, radiolina (v.), raro radiolétta, piccolo apparecchio radioricevente.
Ricerca
L’insieme degli studi e delle indagini che si svolgono nell’ambito delle varie discipline per individuare documenti e fonti, ricostruire eventi, scoprire fenomeni, leggi, ecc., per lo più con un fattore di originalità e di innovazione.
Scuola
Istituzione a carattere sociale che, attraverso un’attività didattica organizzata e strutturata, tende a dare un’educazione, una formazione umana e culturale, una preparazione specifica in una determinata disciplina, arte, tecnica, professione.
Scienza
Sapere, dottrina, insieme di conoscenze ordinate e coerenti, organizzate logicamente a partire da principi fissati univocamente e ottenute con metodologie rigorose, secondo criteri propri delle diverse epoche storiche.
Sociale
1. sociale agg. [dal lat. socialis, der. di socius, v. socio].
a. Che riguarda la società umana, che ha attinenza con la vita dell'uomo in quanto partecipe di una comunità nella quale ha, o dovrebbe avere, sostanziale diritto di parità rispetto agli altri membri: doveri s.; ordine sociale, v. ordine, n. 2 d; patto s. (v. patto, n. 1 b); la realizzazione di una giustizia s.; protestare contro le ingiustizie s., ecc.; analogam. si parla di arte s., pittura s., fotografia s., cinema s., ecc., con riferimento a quelle tendenze che, nell'ambito della comunicazione ed espressione artistica, sono orientate alla denuncia e alla documentazione delle ingiustizie e delle contraddizioni sociali. Scienze s., il complesso delle discipline che studiano i fenomeni relativi alla società umana, utilizzando concetti e metodi differenti; ne fanno parte la sociologia, l'economia, le scienze storiche e politiche, la demografia, nonché particolari settori disciplinari, quali la psicologia sociale, la sociolinguistica, la geografia sociale e la biologia sociale; con riferimento all'antropologia, si parla di antropologia s. per indicare il ramo delle discipline antropologiche di matrice inglese, distinte dall'antropologia culturale di matrice statunitense dalla quale si differenzia per il prevalente interesse di studio dei sistemi sociali, in partic. delle strutture di parentela.
b. Che riguarda l'ambiente in cui si vive, le persone con cui si è a contatto: la vita s.; relazioni,rapporti s.; le convenzioni sociali.
c. Con sign. più specifico, relativo alla struttura e all'organizzazione di una determinata società storica: la questione s.; le forze, le classi s.; le categorie s. più deboli; provvedimenti che riguardano soltanto alcune fasce s.; i problemi s. dell'Italia nel primo dopoguerra; il programma s. di Mazzini. In demografia, movimento s. della popolazione, le variazioni quantitative e strutturali del complesso degli abitanti di un paese o di una regione per il solo effetto delle migrazioni.
d. Nel linguaggio della politica e dell'economia, si usa soprattutto con riferimento a programmi e aspirazioni tendenti verso un miglioramento delle condizioni di vita della società e in special modo dei lavoratori: legislazione s.; rivendicazioni s.; garantire la sicurezza s. (v. sicurezza, n. 1 b); previdenza s.; servizî s., quelli socialmente utili (v. più avanti); l'assistenza s.; stato s., espressione di largo uso, preferita, in quanto più neutra, a quella di stato assistenziale come traduz. dell'espressione ingl. equivalente welfare state (v.); il costo, la spesa s. (di una riforma, di un provvedimento). Per gli e le assistenti s., v. assistente, n. 3 a. Assicurazioni s., quelle che mirano a coprire il rischio della mancanza di lavoro e della perdita della capacità lavorativa dei prestatori d'opera (v. assicurazione, n. 2).
Società
Ogni insieme di individui (uomini o animali) uniti da rapporti di varia natura e in cui si instaurano forme di cooperazione, collaborazione, divisione dei compiti, che assicurano la sopravvivenza e la riproduzione dell’insieme stesso e dei suoi membri.
Spazio
Il luogo indefinito e illimitato in cui si pensano contenute tutte le cose materiali, le quali, in quanto hanno un’estensione, ne occupano una parte, e vi assumono una posizione, definita mediante le proprietà relazionali di carattere qualitativo di vicinanza, lontananza, di grandezza, piccolezza; più modernamente, lo spazio è anche considerato come intuizione soggettiva elaborata mediante gli organi di senso o è concepito come modalità secondo la quale l’individuo, nel suo comportamento sociale, rappresenta e organizza la realtà in cui vive.
Speranza
Speranza s. f. [der. di sperare1, sull’esempio del fr. ant. espérance].
a. Sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera: nutrire, accarezzare, concepire una s.; gli sorride, lo sorregge, lo sostiene la s.; infondere s.; la s. è svanita, è venuta meno, è morta; tutte le nostre s. sono ormai crollate; abbandonare, perdere, togliere ogni s.; far rinascere la s.; con la stessa reggenza del verbo sperare: ha s. di vincere, di riuscire, di guarire; ha rubato con la s. (nella s.) di farla franca; Senza s. di sapere mai Cosa stato sarei più che poeta Se non m’avesse tanta morte Dentro occluso e divorato (Dario Bellezza); mi sostiene la s. che le cose possano accomodarsi; c’è speranza (ci sono speranze) che si salvi; con un compl. di specificazione: ha perso ogni s. di riuscita; non c’è più s. di salvezza, di scampo; con la determinazione di aggettivi: c’è poca, molta s.; esiste una debole s.; Ma pur seguendo sua vana speranza, Pervenne in un fiorito e verde prato (Poliziano); ci sono poche s., non ci sono s., non c’è più speranza, e sim., con riferimento a malato grave che non ha possibilità di sopravvivere; in espressioni limitative: ho una mezza s. di riuscire; c’è, o ci rimane, ancora un filo di s.; in usi assol.: finché c’è fiato, o vita, c’è s. (prov.); la s. è l’ultima a morire (frase prov.); Mentre che la s. ha fior del verde (Dante); Lasciate ogne s., voi ch’intrate (Dante); avea sul volto Il pallor della morte e la s. (Foscolo); il simbolo della s., l’àncora; il colore della s., il verde; oltre ogni s., di tentativo fatto senza fiducia di riuscita, o che si è risolto favorevolmente, in modo del tutto insperato.
b. Più genericam., fiducia nell’avvenire, nella buona riuscita di qualcuno o qualcosa: aprire il cuore alla s.; amare qualcuno senza s.; un giovane pieno di speranza nel futuro; finalmente ha ritrovato la s.; ant., essere di perduta s., di persona che non lascia sperare bene di sé: ma quasi matto [=stolto] era e di perduta s. (Boccaccio); al plur.: vivere, pascersi di speranze; un giovane, o una ragazza, di belle s., che appaiono destinati a un brillante avvenire
Storia
1. stòria (ant. o letter. istòria) s. f. [dal lat. historia, gr. ἱστορία, propr. «ricerca, indagine, cognizione» da una radice indoeur. da cui il gr. οἶδα «sapere» (e ἴστωρ «colui che sa») e il lat. vid- da cui vĭdēre «vedere»].
a. Esposizione ordinata di fatti e avvenimenti umani del passato, quali risultano da un'indagine critica volta ad accertare sia la verità di essi, sia le connessioni reciproche per cui è lecito riconoscere in essi un'unità di sviluppo (così definita, la storia si contrappone alla cronaca, che è invece esposizione, per lo più non critica, di fatti nella loro semplice successione cronologica): il padre della s., lo storiografo greco Erodoto (5° sec. a. C.), che fu il primo a usare il termine, nella sua accezione etimologica, nell'espressione ἱστορίης ἀπόδεξις «esposizione della ricerca»; la musa della s., nell'antichità classica, Clio; passare alla s., con riferimento a personaggi ed eventi che, per la loro importanza, sono destinati a esser ricordati dai posteri (l'espressione si usa talvolta anche nell'uso fam., con iperbole scherz.: questa tua frase passerà alla s.!); fatti che attendono il giudizio della s., di cui i contemporanei non possono ancora giudicare spassionatamente, e che solo in epoche successive saranno valutati dagli storici; essere degno della s., meritare di essere ricordato negli anni futuri. In partic.:
b. In senso stretto, narrazione di fatti d'ordine politico, militare, economico (in questo sign. il termine può essere accompagnato da specificazioni che ne limitano il campo dal punto di vista cronologico, geografico, religioso, ecc.): la tradizionale divisione della s. in antica, medievale, moderna, contemporanea; s. universale; s. patria; s. orientale, greca, romana; s. inglese, francese; s. d'Italia; s. degli Stati Uniti d'America; s. sacra, quella contenuta nelle Sacre Scritture (in opposizione a s. profana); con riferimento a singoli eventi storici: s. della Rivoluzione francese, del Risorgimento italiano; e a singoli argomenti: la s. della società feudale, delle Crociate; se avessimo la s. delle antiche leggi de' popoli, avremmo la s. de' fatti antichi delle nazioni (Vico). Come materia d'insegnamento: lezione di s.; cattedra di s. e filosofia nei licei; esame di s.; laurearsi in s. moderna; testo di s. per la scuola media. Come titolo di opere storiche: S. d'Europa; S. d'Italia dalla caduta dell'Impero Romano all'età moderna; S. della Repubblica di Venezia; o come indicazione generica, accompagnata da un complemento che specifica l'autore dell'opera stessa: ho letto la s. del Cantù, del Botta; la s. del Michelet; anche al plur.: le s. di Tucidide, di Livio.
Tecnologia [non tecnologie]
Vasto settore di ricerca (la ricerca tecnologica), composto da diverse discipline (per cui, spesso, si usa il plurale tecnologie), che ha come oggetto l’applicazione e l’uso degli strumenti tecnici in senso lato, ossia di tutto ciò (ivi comprese le conoscenze matematiche, informatiche, scientifiche) che può essere applicato alla soluzione di problemi pratici, all’ottimizzazione delle procedure, alla presa di decisioni, alla scelta di strategie finalizzate a determinati obiettivi.
Tempo
Tempo s. m. [lat. tĕmpus -pŏris, voce d’incerta origine, che aveva solo il sign. cronologico, mentre quello atmosferico (cfr. al n. 8) era significato da tempestas -atis].
1. L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro (per cui essi avvengono prima, dopo, o durante altri eventi), vista volta a volta come fattore che trascina ineluttabilmente l’evoluzione delle cose (lo scorrere del t.) o come scansione ciclica e periodica dell’eternità, a seconda che vengano enfatizzate l’irreversibilità e caducità delle vicende umane, o l’eterna ricorrenza degli eventi astronomici; tale intuizione fondamentale è peraltro condizionata da fattori ambientali (i cicli biologici, il succedersi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni, ecc.) e psicologici (i varî stati della coscienza e della percezione, la memoria) e diversificata storicamente da cultura a cultura: l’idea, il concetto, la nozione del t.; il fluire, lo scorrere, il trascorrere del t.; il decorso del t. (anche come espressione giur., il tempo utile in relazione a determinati effetti: il decorso del t. per la prescrizione; essere rimesso in libertà per decorso del t., per avere raggiunto il limite di tempo massimo previsto per la detenzione preventiva); il t. corre, fugge, vola; come passa (o come passa presto) il t.!; il t. non passa mai, non mi passava mai il t. (assistendo a cosa noiosa, o stando in ozio, in attesa, ecc.); avere, perdere la nozione del t., essere o no consapevole del suo rapido trascorrere (e quindi dell’ora, del giorno in cui ci si trova); per andar di tempo, Per varïar d’affetti e di pensieri, Obbliarvi non so (Leopardi); il t. è denaro (o è moneta), traduz. del motto ingl. time is money (v.). Più espressamente, il fluire, il passare del tempo: nessuno può fermare il t.; col t., forse, dimenticherai; letter., in processo di t., in progresso di t., col passare o nel succedersi degli anni: come si vede che seguì in Roma in tanto processo di tempo (Machiavelli); spec. con riguardo agli effetti che il passare degli anni produce: e l’uomo e le sue tombe E l’estreme sembianze e le reliquie Della terra e del ciel traveste il t. (Foscolo); il t. risana ogni piaga, il t. è un gran medico, il t. è galantuomo (perché rende giustizia), frasi prov.; i danni, i guasti, le ingiurie, le offese del t., che l’età produce sulle cose (spec. sui monumenti, sulle opere d’arte) e sugli uomini; il colore, la patina del t. (v. patina); libri, tendaggi rosi o corrosi dal t.; dare t. al t. (o lasciare t. al t.), permettere che le cose si risolvano da sé, a poco a poco, pazientare e non pretendere di avere o di ottenere tutto subito. Spesso in contrapposizione all’eternità, in quanto si consideri il tempo come avente un principio e una fine: paragonare il t. all’eternità; Io, che al divino da l’umano, A l’etterno dal t. era venuto (Dante); quindi, senza tempo, eternamente: Facevano un tumulto, il qual s’aggira Sempre in quell’aura sanza t. tinta (Dante). In partic. nel pensiero filosofico e scientifico tale nozione ha costituito un problema costante e basilare della riflessione fin dalle trattazioni mitologiche (Crono come padre di tutte le cose): così nel pensiero antico il tempo, dapprima collegato al movimento del Sole e del cielo in generale, viene considerato, spec. dai pitagorici, sia un continuo divenire, per lo più ciclico (il ritmo del cambiamento cosmico), sia la misura della durata; per Parmenide, invece, non è che un’illusione e, per Zenone, un assurdo, come il movimento stesso, essendo l’Essere, considerato la vera essenza delle cose, immutabile; il concetto del tempo come gerarchicamente inferiore all’eternità ritorna in Platone per cui solo nel mondo materiale corruttibile hanno senso il passato e il futuro, mentre alla sostanza eterna compete un eterno presente immobile; il pensiero aristotelico riconcilia queste concezioni, da un lato assumendo il movimento perfetto dei cieli come riferimento per la misura del tempo, dall’altro ponendo il primo motore immobile fuori dal tempo e quindi eternamente presente. Con il pensiero cristiano, spec. in Agostino, abbandonata la concezione ciclica, si ha una decisa interiorizzazione del tempo e una sua riduzione a «estensione dell’anima», successione di stati di coscienza in quanto ricordo del passato («presente del passato»), aspettazione del futuro («presente del futuro»), ma anche il presente come passaggio, come tensione lineare e progressiva verso la perfezione e la liberazione, una volta dissolto il tempo nell’eternità spirituale (tale concezione del tempo come concreta esperienza interiore, come durata, verrà ripresa dal filosofo fr. H. Bergson verso la fine dell’Ottocento, in polemica con il tempo spazializzato – v. spazializzare – della fisica). Con la rivoluzione scientifica del ’600 (e, in partic., in Galileo) il tempo diviene parametro misurabile del movimento e, da Newton in poi, prende corpo la distinzione tra il t. assoluto, che forma, insieme allo spazio assoluto, lo scenario metafisico (definito come Sensorium Dei) di ogni evento naturale, e il t. relativo, riferito cioè a particolari sistemi di misurazione in determinati sistemi di riferimento. Con Kant, lo spazio e il tempo assoluti divengono le forme a priori di ogni esperienza possibile, e il carattere irreversibile della successione temporale degli eventi viene connesso alla relazione, anch’essa irreversibile, tra causa ed effetto. Il concetto di tempo della fisica classica viene profondamente rivisto nella teoria della relatività einsteiniana, che non solo nega l’esistenza dell’etere, ossia dell’unico ente capace di costituire un sistema di riferimento assoluto sia per lo spazio sia per il tempo, ma asserisce anche il carattere relativo della simultaneità (due eventi che avvengono contemporaneamente in punti diversi di un sistema di riferimento non sono simultanei in un altro sistema di riferimento in moto rispetto al primo) e il fenomeno della dilatazione del t., per cui la durata di un qualsiasi processo fisico è minima nel sistema di riferimento in cui il corpo che subisce tale processo è in quiete (il tempo misurato in tale sistema è definito come t. proprio, o t. locale, o meglio, t. proprio del sistema di riferimento); non ha più senso quindi parlare di tempo assoluto, ma solo di tempo relativo e la misura del tempo risulta correlata alle coordinate spaziali, per cui si parla di coordinata temporale nello spazio-tempo a quattro dimensioni (v. la voce spaziotempo). L’altro aspetto intuitivo del concetto di tempo – il suo scorrere sempre in una direzione – è stato affrontato nella fisica moderna come problema della reversibilità del t., considerando il comportamento delle equazioni che esprimono l’evoluzione temporale di un determinato fenomeno sotto l’operazione di inversione del t., ossia del cambiamento di segno della variabile temporale; in partic., mentre le leggi della meccanica sono invarianti per inversione del t., i processi termodinamici reali non godono di questa proprietà, ossia sono fondamentalmente irreversibili, come espresso per altro dal fatto che l’entropia di un sistema isolato tende sempre ad aumentare (freccia del t.: v. entropia), donde il problema centrale della meccanica statistica di ricondurre l’irreversibilità dei fenomeni macroscopici alle leggi reversibili valide per i processi microscopici; in tempi moderni sono stati osservati fenomeni di non invarianza per inversione temporale anche alla scala microscopica delle interazioni delle particelle elementari (violazione dell’invarianza temporale: v. violazione), che non risulterebbero quindi completamente reversibili.
2. Con riferimento all’età della vita: quanto t. ha il bambino?; è un vitellino che ha ancora poco t. (nell’uno e nell’altro caso, è adoperato tempo trattandosi di bambino e di animale giovane la cui età non si può ancora valutare in anni); è del mio t., ha pressappoco la mia età; il fanciullo ... con una fanciulla del tempo suo, figliuola d’un sarto, si dimesticò (Boccaccio); era del mio t. e, da bambini, facevamo i giochi insieme (Panzini). Meno com., o ant., in altre frasi: avea più figliuoli, de’ quali tre n’erano femine e eran di tempo maggiori che gli altri che maschi erano (Boccaccio); non com., uomo, donna di t., attempati, anziani; di mezzo t., di mezza età.
3. Parte della giornata assegnata a un determinato impiego: il t. dello studio, del lavoro, della ricreazione; aumentare, allungare, diminuire, abbreviare il t. del riposo; rubare il t. al sonno, accorciarlo per poter lavorare di più o per impiegarlo diversamente; parte della giornata (o anche di più lungo periodo) che si assegna o sia disponibile per qualche attività: far buon uso, cattivo uso del t.; saper distribuire, sfruttare il proprio t.; hai un po’ di t. libero?; hai un po’ di t. per me?; puoi dedicarmi un po’ del tuo t.?; bisogna trovare t. a tante cose.
4. In sociologia, t. libero, la parte della giornata che resta libera dagli impegni di lavoro e disponibile per il lavoratore: il t. libero è diventato un complesso problema nelle società moderne; l’organizzazione sociale del t. libero, l’intervento degli enti locali per organizzare il t. libero (con attività artistiche e culturali, sportive e turistiche, con corsi varî, ecc.). Nell’organizzazione dell’insegnamento, scuola a t. pieno o integrata, scuola dell’obbligo o media superiore che viene frequentata dagli alunni per l’intera giornata o per gran parte di essa, e che ha la funzione di integrare l’insegnamento normale, con la guida degli stessi docenti (e in questo caso si è parlato anche di t. prolungato) e di altri appositi, di assistenti e di esperti, e di promuovere altre attività e interessi varî. Nel rapporto di lavoro dipendente, impiego a t. pieno (meno com. a pieno t.), o a t. parziale o definito o determinato (e assol.: fare il t. pieno, lavorare a t. definito, scegliere il t. determinato), a seconda che la prestazione d’opera venga svolta per l’intero orario giornaliero o settimanale di lavoro previsto per la categoria, o solo per una parte di esso, non inferiore normalmente alla metà (v. anche le equivalenti locuz. ingl. full time e part time, di cui quelle ital. sono il calco).
5. In musica:
a. Indicazione agogica che prescrive un movimento più o meno rapido cui attenersi nell’esecuzione di un pezzo: t. lento, veloce, largo, ecc., in genere indicato con didascalie di preciso valore (Adagio, Andante, Presto, Allegro, Vivace, ecc.); allargare, stringere, rallentare, affrettare il t.; a tempo, o tempo I°, didascalia apposta nel punto dove il movimento deve, dopo una qualsiasi variante (accelerazione o rallentamento), riprendere il passo iniziale.
b. Ciascuna delle parti in cui è suddivisa un’opera teatrale o una proiezione cinematografica (suddivisione che oggi ha per lo più sostituito quella tradizionale in atti): commedia in due t. e sette quadri; film in due t.; una volta, al cinema, si poteva entrare anche all’inizio del secondo tempo.
Terrorismo
L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e sim.; possono farvi ricorso sia gruppi, movimenti o formazioni di vario genere (ma anche individui isolati), che vogliono conseguire mutamenti radicali del quadro politico-istituzionale, sia apparati, istituzionali o deviati, di governo interessati a reprimere il dissenso interno e a impedire particolari sviluppi politici.
Twitteratura
Twitteratura s. f. [comp. di tweet e (let)teratura].
1. Lʼopera letteraria narrativa, sia come creazione originale, sia come riscrittura di opere celebri, ridotta entro la misura dei centoquaranta caratteri di cui si compone un tweet.
Vècchio
1. vècchio agg. e s. m. [lat. tardo e pop. vĕclus per il lat. class. vĕtŭlus, dim. di vetus «vecchio»].
a. Che è molto avanti negli anni, che è nell'età della vecchiaia (contrapp. a giovane e distinto da anziano, che però è molto frequente come sinon. eufemistico e di riguardo di vecchio): un uomo v.; una donna v.; la sua v. mamma; i suoi v. genitori; due v. sposi; Io e ' compagni eravam vecchi e tardi (Dante); sono diventato v.; mi sento v.; nell'uso fam., v. come il cucco, più v. di Matusalemme; talvolta determinato da un compl.: v. d'età, di senno, d'esperienza; v. d'anni ma giovane di spirito.
b. estens. Senile; che ha aspetto, atteggiamento, abitudini senili: un viso v.; un organismo v. e stanco; Che s'aspetti non so, né che s'agogni, Italia ... Vecchia, ozïosa e lenta (Petrarca).
c. Con valore relativo: essere più v., meno v., di maggiore o minore età, anche con riferimento a persona che non sia molto avanti negli anni: ha trent'anni, e suo fratello è di quattro anni più v.;come locuz. avv., da vecchio, in età senile: da vecchio (o da vecchia) ha messo finalmente giudizio; si dice che Catone si mise da v. a studiare il greco. L'epiteto il Vecchio (come traduz. del lat. Maior) si aggiunge talvolta al nome di antichi personaggi per distinguerli da altri di ugual nome, nati posteriormente (indicati questi con l'epiteto il Giovane, corrispondente al lat. Minor): Catone il V.; Plinio il V.; Palma il Vecchio.
Viaggio
L’andare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità, con un mezzo di trasporto privato o pubblico.